Terapia Ormonale della Menopausa

Tra lobby farmaceutiche e studi epidemiologici: quali sono le esigenze delle donne in menopausa?

Un intervento su terapia ormonale della menopausa, epidemiologi, ginecologi e l'interpretazione delle informazioni "scientifiche". Produzione dell'informazione e bias (errori metodologici dello studio), gestione dell'informazione, consenso e scelte cliniche, diversi step del circuito dell'informazione e della decisione terapeutica.

Come guidare le scelte cliniche senza informazioni veritiere?

E come individuare tra le informazioni corrette, quelle adatte a quella donna?

È interessante per un ginecologo sapere che il NIH, tra febbraio e marzo 2004, ha sospeso il braccio di 11.000 donne, seguite per 7 anni, con la dose 0,625 mg di estrogeni equini coniugati, per eccedenza di 8 ictus su 10.000 donne?

Certo che si. Ma mi preoccupa molto che tra le 16.608 donne in "buona salute" dello studio WHI, il 69% delle donne avesse un BMI superiore a 30, che il 35,2% fossero ipertese, che il 12.5% utilizzasse ipolipemizzanti, il 19% aspirina a bassa dose, il 5,5% con pregressi eventi coronarici e il 22% fossero ultrasettantenni. E' solo molto probabile che non è quella la mia popolazione di riferimento e che, probabilmente raramente e sotto precisa indicazione, avrei prescritto terapia ormonale.

I dubbi? Tanti.

Mac Farley, a Genova spiegò nel 2003 mirabilmente sia il concetto dei rischi della contraccezione ormonale "spalmati su tutta la popolazione", che quello collegato ad una popolazione a rischio (alto BMI, ipertensione, età, diabete, familiarità, trombofilia, fumo > 5 e > 15 sigarette).

Ma la parte più interessante per me fu quando i fattori di rischio vennero associati. Più i fattori di rischio si associavano, più il RR si impennava moltiplicandosi. Il gruppo più sfortunato (che assommava nelle stesse persone più fattori di rischio) aveva un rischio relativo di eventi tromboembolici fino a 40!

Quindi le automatiche traslazioni dagli studi epidemiologici all'attività clinica, sono da evitare. L'elemento clinico è quello definitivo, anche se si fa indirizzare dagli studi epidemiologici. E' la clinica che cura la persona, che ci parla, che ne ascolta le ragioni o di cui ricerca i disturbi, anche quando non spontaneamente riferiti.

Interpretare gli studi epidemiologici inoltre non è facile. Non solo non ne ho avuto la formazione, ma ora la formazione epidemiologica costa moltissimo. Cosa si determina quando l'informazione su una metanalisi arriva al grande pubblico, spesso in anticipo sul clinico, che non deve stare appresso all'ultima informazione, ma a quelle consolidate e verificate anche con l'esperienza personale. Intanto cambiano gli scenari 

Prima di internet gli stessi articoli o abstract erano di difficile reperimento o limitato ad una area di interesse spesso ultraspecialistica, dopo ricerche in diverse librerie scientifiche. Adesso gli abstract sono di facile reperimento ma non abbiamo accesso a banche gratuite dedicate ai medici.

Un metodo di comportamento rispetto a queste sollecitazioniè assumere una sensazione di "allarme" senza cambiare immediatamente approccio, davanti alla routinaria scarsità di problemi nella esperienza professionale ventennale. Ho il tempo di reperire informazioni ulteriori su internet. Per ultimo chiedo aiuto. Nel caso della terapia ormonale, gli ultimi studi epidemiologici non hanno modificato la mia prescrizione di ormoni. Non era interessante la prevenzione cardiovascolare (per quanto affascinante), quanto la qualità di vita, che è evidentemente migliorata nelle pazienti che ne avevano indicazione specifica.

Non ho prescritto per la prevenzione cardiovascolare, mentre posso utilizzare, nelle donne con T < -2,5 DS, la terapia ormonale come step farmacologico di prima scelta fino ai 60 anni, in pazienti a basso rischio cardiovascolare.

Ma vedo sottoutilizzata, rispetto alle necessità, la terapia ormonale locale e la terapia sistemica in caso di artralgie.

La depressione che si può presentare quando scompaiono le mestruazioni, beneficia di un supplemento ormonale, anche se gli studi epidemiologici non evidenziano questo effetto, se studiato in una popolazione generale.

C'è una differenza individuale nel percepire la mancanza di ormoni e la particolare sensibilità alla carenza ormonale va assistita senza favorire paure sulle terapie ormonali ma fornendo un consenso informato particolarmente ampio e ripetuto, nelle diverse occasioni di incontro medico-paziente. Non è facile "per la popolazione generale" scegliere una terapia e ricordarei a distanza di tempo, le diverse ragioni che hanno portato a quella scelta, i pericoli a cui stare attenti, le indicazioni più varie, dalla alimentazione all'attività fisica.

E' evidentemente necessario un consenso ripetuto, indispensabile anche per rifiutare la terapia o non ritenerla più adatta a sé, potendo collegare molto meglio azione farmacologica ed effetti negativi e positivi. Si ottiene piuttosto l'empowerment in quanto, la menopausa, come la pubertà e la gravidanza, sono occasioni di crescita individuale fortissima, davanti a cambiamenti così importanti per la vita.

Preoccupanti sono le posizioni antiterapia aprioristiche e i giornalisti: nel primo caso si sommano realtà culturali italiane, con forte presa moralista antiindustriale e antifarmaceutica; vorrebbero impedire la soddisfazione di una terapia efficace, il benessere della persona magari di bassa cultura, che necessita in quel caso della terapia; i secondi amplificano gli aspetti delle notizie che portano di volta in volta dal nichilismo terapeutico, all'entusiasmo modernista, favorendo posizioni diffuse di ampia sfiducia verso i messaggi sanitari. Ma cosa dire a quella donna di Pordenone, già operata di carcinoma mammario, che da un centralino telefonico chiedeva una terapia ormonale per i disturbi menopausali, che non le dava nessuno, che non le importava dei rischi di recidiva, visto che in terapia stava molto bene)?

Dall'altro lato abbiamo sofferto un lungo periodo di sostegno medico e giornalistico alla terapia della menopausa come se fosse la panacea di tutti i mali, senza impostare dall'inizio studi multicentrici che valutassero i rischi cardiovascolari. Sono le situazioni dove le lobby farmaceutiche si possono infiltrare, rinunciando a quella "buona collaborazione" con clinici e associazioni professionali, favorendo afflussi di fondi verso situazioni più malleabili e di "maggior potere", un "marketing" sporco, che cerca di ottenere migliori risultati nel minor tempo.

Il nostro ruolo è navigare senza ingenuità, cercando le informazioni che ci possano guidare al meglio, specie quando si pongono come ulteriore elemento di discussione e non come ulteriore "verità rivelata", sconfessata in futuro a sua volta.

Ma cosa succederà con l'avvento della menopausa nelle prossime generazioni, quando le donne si renderanno conto che l'efficacia "cosmetica" della terapia ormonale è molto elevata e a costo molto più basso di chirurgia e creme estetiche?

Maurizio Orlandella Milano 12/3/2004

Copyright Maurizio Orlandella PI 09507250158